
Rifiuti / La gestione degli imballaggi
Qualche decina di anni fa il problema dei rifiuti ha cominciato a farsi sentire. Si è cominciato a parlare di raccolta differenziata, di inceneritori.
Col passare del tempo i termini utilizzati si sono affinati e si è cominciato a parlare di “ciclo integrato dei rifiuti”, di “termovalorizzatori”, di “economia circolare dei rifiuti” e di altri termini ricercati, come se bastasse cambiare il nome al problema per trovarne la soluzione.
Normalmente, per risolvere i problemi in modo organico, bisogna agire alla base degli stessi. Anche nel mondo dei rifiuti urbani (costituiti prevalentemente da imballaggi) sono state trascurate le origini del problema. Il primo sostanzioso impulso alla raccolta differenziata è stato dato dal famoso “Decreto Ronchi” del 1997. Tale Decreto prevedeva, tra le altre cose: “Le autorità competenti adottano, ciascuna nell’ambito delle proprie attribuzioni, iniziative dirette a favorire, in via prioritaria, la prevenzione e la riduzione della produzione e della pericolosità dei rifiuti” (Art. 3). Questo passaggio previsto dalla norma rappresentava il fulcro del problema ma, con tutta probabilità, è stato il punto che meno di altri ha trovato attuazione. Si è, invece, spinto molto sulla raccolta differenziata. Si è cominciato a raccogliere separatamente i materiali a seconda della categoria merceologica di appartenenza. Per ottemperare alle direttive europee sugli “imballaggi”, sono stato istituiti il CONAI e gli altri Consorzi di filiera il cui impegno principale è stato di quello di incamerare i contributi pagati – per legge – dagli utenti, per riutilizzarli nello sviluppo della raccolta differenziata soprattutto con iniziative di sensibilizzazione e di “istruzione” della popolazione.
Era la strada giusta? Sembra di no. O, quantomeno, sono stati saltati dei passaggi fondamentali che dovevano precedere tali attività.
Una corretta e coscienziosa organizzazione delle attività avrebbe dovuto prevedere, in primo luogo, una regolamentazione degli imballaggi destinati a diventare rifiuto. Dovevano essere stabiliti i tipi di materiali costituenti l’imballaggio che fossero adatti al prodotto imballato e – allo stesso tempo – idonei al riciclo. Un’azienda che poneva sul mercato un prodotto avrebbe dovuto utilizzare un imballaggio costituito (nei limiti) da un solo prodotto (o tutta carta, o tutta plastica, ecc.) ed approvato dal CONAI e, sullo stesso, si sarebbero dovuti riportare gli estremi dell’approvazione del CONAI stesso oltre all’indicazione della filiera di conferimento per una corretta raccolta differenziata (ad esempio “CARTA” o “PLASTICA” o “VETRO”, ecc.). Contemporaneamente si sarebbe dovuta fare una valutazione dei quantitativi dei vari imballaggi prodotti negli ambiti territoriali predefiniti e realizzare gli impianti di trattamento necessari per trattare i vari quantitativi previsti. Le modalità di raccolta avrebbero dovuto seguire le tipologie di impianto presenti negli ambiti di competenza.
Non essendo stati fatti questi passaggi preliminari, ci troviamo in queste condizioni:
- Gli enti pubblici più sensibili (e rispettosi delle norme) si sono attivati per raccogliere in modo differenziato il più possibile, in molti casi senza sapere dove portare i materiali raccolti. I più virtuosi sono stati premiati come rifiuti “ricicloni”, anche se il termine più appropriato sarebbe “raccoglioni”;
- Ogni ente pubblico (comune, consorzio di comuni, municipalizzata, ecc.) ha organizzato la raccolta differenziata a modo suo. Così si ha che un comune effettua la raccolta differenziata “porta a porta” e quello a fianco “a cassonetti”. Uno raccoglie le lattine col vetro e quello a fianco le raccoglie con la plastica. Uno ha i cassonetti per la carta bianchi e quello a fianco li ha gialli. E così via;
- La realizzazione degli impianti di trattamento non ha seguito un piano predefinito ma è stato lasciato tutto all’iniziativa locale. Per cui ci sono ambiti territoriali con capacità superiori alla propria produzione ed altri con capacità inferiore, quando non sprovvisti totalmente di impianti;
- Gli utenti sensibili si trovano nelle condizioni di doversi scervellare per capire dove vadano conferiti determinati tipi di imballaggi, quando – ad esempio – all’esterno sembrano di carta, hanno la consistenza della plastica e dentro sembrano rivestiti di alluminio. In altri casi si trovano in crisi perchè la confezione di carta ha la finestrella di plastica. Gli utenti meno sensibili, invece, conferiscono dove capita;
- I materiali raccolti in modo differenziato sono notoriamente inquinati da altri materiali, sia per il menefreghismo di molti e sia per l’assenza di indicazioni sugli imballaggi sulle modalità di conferimento, con conseguente aggravio per i costi di selezione.
Gli altri effetti di questa disorganizzazione sono sotto gli occhi di tutti: rifiuti che vanno all’estero (con relativi sovraccosti di trasporto), rifiuti abbandonati, discariche abusive, impianti che vanno a fuoco, organizzazioni criminali che lucrano.
Tutto perché la mentalità italiana non prevede la possibilità di eseguire progetti a lungo termine. Problemi complessi richiedono studi approfonditi ed anni di lavoro affinché si vedano i risultati. Noi vogliamo tutto e subito, col risultato di creare continue emergenze che non consentono adeguati controlli sui denari stanziati. Ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Il Geom. Massimo Melis si è diplomato presso l’ITCG “A. Martini” di Castelfranco Veneto nel 1979. Dopo aver svolto il servizio militare nell’arma di Carabinieri, nel 1981 ha iniziato a lavorare nel settore “ecologia” presso un’azienda che realizzava impianti di depurazione acque. Ne uscì nel 1993 quando ne era divenuto Direttore Tecnico. Da allora e fino al 2014 ha lavorato per alcune tra le maggiori aziende operanti nei servizi di igiene urbana presenti in Italia in qualità di Direttore Operativo o Responsabile di Area. La sua attività si svolse nel Triveneto, in Sicilia, in Toscana, in Liguria e soprattutto in Sardegna, dove progettò ed avviò alcune tra le prime raccolte differenziate domiciliari in tale regione, per le quali alcuni comuni furono successivamente premiati da Legambiente quali Comuni “Ricicloni”. Dal 1997 al 1999 è stato Membro Effettivo della Commissione Circoscrizionale per l’Impiego di Monselice, in rappresentanza dell’Unindustria di Padova; dal novembre del 2000 ad aprile del 2003 ha fatto parte del Comitato Tecnico di Ser.i.t., Società mista pubblico-privata, con sede a Valeggio Sul Mincio (VR); dal luglio 2001 al gennaio 2004 ha ricoperto la carica di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione per la ditta Waste Management Italia SpA; dal 2004 al 2006 è stato Responsabile Tecnico dell’appalto di igiene urbana della XIV^ Comunità Montana del Montiferru (OR); dal 2006 al 2007 è stato Responsabile Tecnico dell’appalto di igiene urbana del Comune di Decimomannu (CA); dal 2006 al 2007 è stato Membro Effettivo del Comitato Intersocietario di Gestione dell’ATI De Vizia-Aspica-CNS per i servizi di igiene urbana della Città di Cagliari; dal 2007 al 2009 è stato Responsabile di Commessa dell’appalto di Igiene Urbana del Comune di Sassari; dal novembre 2014 è Council Member di GLG (Gerson Lehrman Group) di New York, nel settore rifiuti. Attualmente lavora come libero professionista nel settore immobiliare.